All’inizio del 2020 il Policlinico Universitario Campus Bio Medico di Roma ha scelto il progetto “Be calm and Take care” di MindfulVision per offrire a tutto il proprio personale, senza distinzioni di competenze, un percorso di mindfulness per la riduzione dello stress.
Accolgo con entusiasmo la possibilità di portare la mia esperienza di insegnante e praticante di mindfulness nell’ambito in cui lavoro da sempre, quello sanitario. La vita professionale di chi opera in un contesto di cura è normalmente scandita da un continuo misurarsi con la sofferenza, quella fisica e psicologica di chi ha bisogno di cure, quella dei familiari, quella dei colleghi e la propria nei momenti difficili. Ho sperimentato personalmente, e tante volte l’ho visto succedere, quanto la consapevolezza sia un grande aiuto nel tenere in equilibrio le necessarie competenze scientifiche, relazionali, organizzative.
Eppure, stavolta è tutto diverso.
Mentre mi avvio al primo incontro e percorro un lungo corridoio percepisco una nuova inquietudine. Me ne accorgo dall’andatura incerta e dal mio sguardo controllante anziché curioso, come di solito mi capita.
È la presenza di un evento imprevisto che sta rendendo il nostro lavoro un mare quasi sempre in tempesta, la pandemia da COVID-19. Un improvviso stravolgimento per tutte le organizzazioni sanitarie che ha portato il consueto carico di stress a livelli estremi. Ad una pressione lavorativa molto superiore alla norma, su tutti i fronti, si sono aggiunti paura, incertezza, stanchezze inenarrabili, senso di frustrazione, impotenza.
Un carico di dolore mai sperimentato prima.
La strada lungo cui per dieci settimane accompagnerò le persone che hanno aderito a questo progetto è quella solida del programma MBSR ma sin dall’inizio dobbiamo misurarci con un’incertezza che non ci lascerà e, di volta in volta, adattiamo i nostri incontri all’andamento della pandemia. Lavoriamo in presenza, in ambienti molto ampi, quando possibile all’aperto, con l’aiuto della tecnologia nei momenti più critici. Facciamo i conti con assenze improvvise, cambi turno o ritardi per emergenze di servizio, con le quarantene. Grazie ad una chat e ad aggiornamenti individuali, riusciamo a mantenere il filo del nostro percorso.
In un momento così complesso in cui il “fare” appare l’unica strada necessaria e percorribile, sperimentiamo quanto imparare a “fermarci” (quasi un controsenso) e riportarci al momento presente sia un vero e proprio salvavita.
Gradualmente grazie alla pratica ci alleniamo a convivere con ciò che vorremmo respingere: fatica, demoralizzazione, tensione, avvilimento, senso di inaiutabilità ma anche ad accorgerci di piccole oasi di riposo e pace che rischiano di rimanere fuori dalla nostra attenzione.
“I momenti di pressione ci sono sempre nel nostro lavoro, ma questa è una pressione nuova. Per tutti. Qualche giorno fa ero così frastornata che ho provato a fare una breve pausa. Ho fatto qualche respiro e ho ritrovato il filo con me stessa. È bastato qualche minuto. In reparto la situazione non era cambiata ma io ero più presente”.
La pandemia ha trasformato atti semplici e ordinari, entrare in ospedale, timbrare, indossare le divise, condividere informazioni, capire le priorità, in vere e proprie battaglie, fisiche ed emotive. Sperimentiamo la possibilità di contenere il nervosismo, l’impulsività e gestire l’avversione facendoli diventare occasione di pratica.
Condividiamo molte scoperte incontrate nel semplice fermarci e dedicarci con attenzione a indossare o togliere la divisa, a timbrare in compagnia delle parole “sto entrando al lavoro o sto uscendo dal lavoro” per radicarci nel momento presente.
Come la mindfulness ci invita a fare, lavoriamo in modo controintuitivo anche con le emozioni difficili e alcuni pensieri intossicanti che ci sequestrano la mente. Anziché rifiutarli o tentare di scacciarli apriamo loro la porta. Li invitiamo a sedersi con noi permettendoci di non giudicarli ma di esplorarli e descriverli a noi stessi. Metterli sotto la luce della consapevolezza e condividerli ci aiuta a conoscerli meglio, a renderli più familiari e, pur rimanendo ospiti sgraditi, a non lasciare che ci travolgano e inquinino la qualità del nostro lavoro e della nostra presenza con chi ha bisogno di noi.
Dirsi “esci dalla mente e entra nel corpo” e accorgersi della nostra postura e dei movimenti che compiono le nostre mani mentre ci occupiamo di una persona che soffre, scriviamo un referto, completiamo una cartella o comunichiamo una notizia negativa, sono i campi base dell’allenamento ad incontrare il respiro e ad ascoltare e conoscere i suggerimenti che il corpo ci offre attraverso le sue parole, quelle sensazioni fisiche di cui spesso ci accorgiamo solo quando il corpo urla.
Questo avvicinamento alla consapevolezza in modo graduale e gentile, ma allo stesso tempo determinato e intenzionale, ci permette di coltivare qualità irrinunciabili nel nostro lavoro, soprattutto in questo difficile momento. Attenzione focalizzata, presenza mentale, calma, pazienza, fiducia, accettazione, empatia, compassione.
“Ho fatto una pratica di ascolto durante un passaggio di consegne. Non è stato semplice perché siamo sempre in carenza di tempo. Stavolta mi sono concentrata su quello che la collega mi stava dicendo, l’ho lasciata parlare senza intervenire e ho scoperto che le informazioni necessarie c’erano tutte. In un ordine diverso da quello che avrei dato io ma c’erano tutte. Non c’è stato bisogno di altro e abbiamo guadagnato tempo prezioso”
Ultimo incontro della terza edizione. È passato più di un anno da quell’inizio e COVID-19 è ancora con noi, stiamo imparando a “danzare con l’incertezza”, per usare le parole di Saki Santorelli.
Percorro con passo appena più sicuro il lungo corridoio ormai diventato amico, stavolta in compagnia di molti pensieri di gratitudine per l’organizzazione che ha creduto e dato fiducia alla mindfulness come risorsa.
Per tutte le persone che hanno scelto di partecipare a questi percorsi, per il loro impegno costante, la disponibilità a mettersi in gioco, a partire dalla cura di sé stessi per offrire migliori cure agli altri, per le loro parole condivise che sono state una vera ricchezza.
Per chi mi ha dato fiducia.
Per le colleghe insegnanti di mindfulness in contesti ospedalieri con cui ho condiviso tante riflessioni.
E infine per la pratica che mi ha sostenuta nel lavoro ordinario in un momento straordinario offrendomi, come tante volte in passato, la conferma che ogni mare è navigabile e che grazie alla consapevolezza possiamo affrontare e gestire lo stress senza dimenticare nessuno, il lavoro, i pazienti e i loro familiari, i colleghi, noi stessi.
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