Uscire dalle routine relazionali è davvero un’impresa titanica ma di grande trasformazione personale, psicologica e fisica!
Non è affatto semplice abbandonare gli schemi mentali con cui ci orientiamo nella realtà, che ci guidano e ci rassicurano e sono talmente radicati da essere spesso inconsapevoli.
La nostra mente tende per esempio a classificare immediatamente le persone che incontriamo tra amiche e nemiche, persone di cui mi posso fidare e da cui devo stare alla larga, persone da cui mi aspetto qualcosa (aiuto, sostegno, compagnia, divertimento, sesso, amicizia, condivisione di una passione, di un viaggio, …) e persone da cui non mi aspetto nulla (distanti, lontane, diverse, incompatibili, …), persone attraenti e persone verso cui non proviamo alcun interesse.
È un istinto di sopravvivenza che si è evoluto per riconoscere nel più breve lasso di tempo un potenziale pericolo, un nemico, una minaccia e, viceversa, un probabile partner sessuale e riproduttivo, e far sopravvivere la specie.
Una parte del nostro cervello, infatti, il cosiddetto cervello rettiliano, tronco encefalico e strati sovrastanti, evolutosi per primo più o meno 500 milioni di anni fa, è responsabile delle attività basilari come la respirazione, il battito cardiaco, il sonno, il sesso, gli impulsi più forti.
Un secondo cervello, il sistema limbico, sviluppatosi sopra e attorno al primo, circa 200 milioni di anni fa, ha poi il compito di tradurre in emozioni gli impulsi e i segnali del cervello più antico, per aiutarci a ricordare i nostri sentimenti, chi li ha causati e dove eravamo quando li abbiamo provati.
Con questo cervello abbiamo anche iniziato ad occuparci dei nostri figli e della loro sopravvivenza. Solo 3 milioni e mezzo di anni fa, con l’homo sapiens, il nostro cervello ha avuto un ulteriore scatto di crescita negli emisferi e si è sviluppato il cosiddetto terzo cervello, ovvero la neo-corteccia, responsabile dell’auto-regolazione emotiva, del controllo degli impulsi, della risoluzione di problemi complessi, della capacità di prendere decisioni, dell’attenzione intenzionale, dell’empatia e della cosiddetta meta-cognizione, ovvero la capacità di riconoscere e guardare i nostri pensieri.
Non dobbiamo commettere l’errore di classificare questi 3 cervelli, di cui siamo tutti dotati, come buoni o cattivi. Ognuno di essi infatti svolge una funzione fondamentale. Cosa sarebbe il sesso senza il cervello rettiliano? Come faremmo a tenerci lontani dal fuoco se non avessimo la memoria del nostro sistema limbico? Come potremmo fare scelte di vita complesse, come iniziare una relazione, intraprendere un viaggio, cambiare lavoro, senza la nostra corteccia pre-frontale?
Le ricerche scientifiche ci dicono che una pratica regolare di Mindfulness (quotidiana per almeno 30’/40’ e per 8 settimane) ci allena ad accorgerci di quando questi cervelli si attivano e ad armonizzarli, sviluppando, attraverso l’ispessimento della materia grigia e la produzione di nuovi neuroni e nuove connessioni, alcune parti del cervello:
- Corteccia pre-frontale
- Insula,
- Ippocampo
- Corteccia cingolata anteriore
- Giunzione temporo-parietale.
Si tratta di aree deputate alla riflessione, all’autoregolazione emotiva ed attentiva, alla percezione del sé corporeo, alla flessibilità mentale e alla memoria, alla capacità di riflettere sui propri pensieri, lasciarli andare e fare spazio ad altri.
Tornando dunque, con questa chiave di lettura, al complesso mondo delle nostre vite relazionali, proviamo a cogliere l’opportunità che la mindfulness ci offre di disinnescare certi automatismi di pensiero e di comportamento (e quindi connessioni neuronali) e di svilupparne di nuovi, trasformando veramente la nostra vita attraverso un cambiamento concreto del nostro cervello.
Riconoscere, attraverso la pratica, certi pensieri, interpretativi e ripetitivi sulle persone (lei mi piace, lui mi stimola, loro mi stanno antipatici, noi siamo migliori, voi siete utili, io sono diverso, …), uscire dalle aspettative sugli altri (che cosa vuole da me, che cosa faremo insieme, che cosa succederà dopo, …), soprattutto quelle meno evidenti (so già cosa mi vuoi dire, come reagirò, cosa proverò, come andrà a finire…), può consentirci esperienze nuove, trasformative e generative.
Le direttive della mente, infatti, sono spesso centrate sul nostro ego e non sull’altro, sui nostri bisogni, sugli obiettivi che abbiamo e sulle fasi di vita che attraversiamo.
Incontriamo i nostri amici, i nostri partner, i nostri figli, i nostri colleghi o collaboratori, in modo ego-centrico, quasi sempre senza rendercene conto.
Come se ci fosse una domanda filtro, come ad esempio:
- sei utile al mio scopo?
- sei necessario all’idea che ho di me?
- sei disponibile a farmi sentire bene, in pace, adeguato, all’altezza, vivo, vitale, di successo, di valore, …?
- Servi alla mia sopravvivenza?
Più ci sentiamo in pericolo, deboli, fragili nella nostra identità, più si attivano le parti antiche del nostro cervello.
Più pratichiamo la mindfulness, attraverso la coltivazione di un atteggiamento amorevole a priori, verso noi stessi e verso gli altri, più si rinforza un nucleo identitario solido, dandoci il permesso di perdere i confini rassicuranti e limitanti dell’ego per tuffarci fiduciosi nell’incontro profondo e autentico dell’altro, un incontro che ci può solo trasformare e rendere migliori (e con nuovi neuroni!).
Ecco dunque il mio invito di pratica per il weekend, portiamo il nostro sguardo attento e gentile alle relazioni più nutrienti e consolidate, che spesso nell’economia della nostra mente ci impediamo di continuare ad esplorare.
Proviamo a lasciar andare il pensiero di conoscere già una persona, la presunzione di sapere chi è e cosa vuole da noi (quando ci chiama, quando ci parla, quando ci scrive, quando ci guarda).
Ricordiamoci che non esistono persone dal carattere fisso e statico o relazioni immobili e durature per sempre. Scegliamo, qui e ora, di essere aperti, curiosi disponibili a rivedere le nostre idee, i nostri comportamenti e quindi noi stessi.